L’assedio di Caprona
Dopo la campagna del giugno 1289, culminata nella battaglia di Campaldino, Dante partecipò con molta probabilità a un’altra operazione militare, l’assedio di Caprona, che lo portò in un territorio dove forse egli ancora non s’era mai recato: la Toscana Occidentale.
Sembra che il poeta ne dia testimonianza in un verso del canto XXI dell’Inferno in cui compare il verbo “vidi” - una scelta linguistica ritenuta dalla maggior parte dei critici come la conferma della sua presenza.
Siamo nella bolgia dei Barattieri - Il poeta, minacciato dai diavoli che volteggiano tra gli speroni rocciosi della bolgia, è andato a nascondersi “tra gli scheggion del ponte” e, tra mille paure, rincuorato da Virgilio, si arrischia ad attraversarlo fiancheggiato dai ributtanti demoni capitanati da Malacoda. Come rendere l’idea se non facendo riferimento ad un’esperienza precedentemente vissuta?
“Così vid’io già temer li fanti, ch’uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti”.
Il castello di Caprona, oggi ridotto in ruderi, era dominio dei guelfi pisani legati a Nino Visconti, ma era stato preso dai ghibellini capitanati dall’arcivescovo Ubaldini e da Guido da Montefeltro. Dopo Campaldino e l’assedio portato contro Arezzo, l’esercito guelfo, rientrato in parte a Firenze, intraprese una marcia contro Pisa, con rinforzi senesi e pistoiesi, per portare soccorso ai Visconti e ai Lucchesi.
Duemila fanti e quattrocento cavalieri, tra cui l’Alighieri, giunsero alla fine di luglio ai piedi del monte Verruca, là dove il torrente Zambra si getta in Arno: sulle propaggini di questo monte sorgeva un fortilizio che, dopo un breve assedio, nell’agosto 1289, capitolò. I soldati timorosi, che avevano appoggiato l’Ubaldini, paventavano le ritorsioni del Visconti che tuttavia non si vendicò. Fu invece il podestà di Pisa, Guido da Montefeltro, in carica tra il 1289 e il 1293, che sbandì dalla città proprio quei Pisani che cedettero il castello al nemico a patto di avere salva la vita.