Gennaio

Ai piedi dell’Imperatore

È il 6 gennaio 1309, e nella Cappella Palatina di Aquisgrana, voluta dal grande Carlomagno, brillano centinaia di candele. Enrico, conte di Lussemburgo, viene incoronato Re dei Romani. Tuttavia, per essere riconosciuto imperatore, Enrico deve scendere in Italia, farsi riconoscere re e poi farsi incoronare a Roma, là dove sta l’origine stessa dell’Imperium, il popolo romano.

Alcuni suoi emissari si misero subito in marcia alla volta dell’Italia, divisa tra città rivali e fazioni, con l’obiettivo di spianare il terreno al nuovo imperatore. Enrico varcò le Alpi e raggiunse il Nord Italia nell’ottobre del 1310: il corteo imperiale visita Susa, Torino e Asti, Vercelli e Novara per poi arrivare a Milano il 23 dicembre.

L’incoronazione solenne era prevista per l’Epifania del 1311 e così raggiunsero Milano molti sostenitori del futuro imperatore, e, tra essi, probabilmente, anche Dante Alighieri.

L’ipotesi che Dante abbia incontrato personalmente Enrico VII nasce da una sua esternazione contenuta nell’Epistola VII, indirizzata proprio al sovrano.

“Anche io che ti scrivo, a nome mio e degli altri, ti vidi benignissimo e ti ascoltai clementissimo, come conviene alla imperiale maestà, quando le mie mani toccarono i tuoi piedi e le mie labbra pagarono il loro debito”.

Dovette essere questo uno dei momenti più emozionanti della vita del poeta.

“In te esultò lo spirito mio, quando in silenzio mi dissi: “Ecco l’agnello di Dio, ecco chi toglie i peccati del mondo”.

Se Dante fu davvero a Milano, ebbe modo di incontrarvi molti altri esuli, guelfi Bianchi ma anche Ghibellini, come Lapo, figlio di Farinata degli Uberti, o il nobile Galeazzo dei conti Alberti di Mangona, che condividevano con lui la triste condizione di esuli.

Sono questi i mesi in cui il poeta ripone tutte le proprie speranze nella missione salvifica del nuovo Cesare e durante i quali elabora la celebre Epistola VII nonché la Monarchia. Già prima dell’arrivo di Enrico, Dante aveva assunto una posizione politica ben precisa, espressa nell’Epistola V in cui, rivolgendosi ai signori d’Italia, invoca la pace e li invita ad aprire gli occhi.

“Il Signore del cielo e della terra ha stabilito per noi un re”.

Purtroppo le speranze di Dante sarebbe andate deluse.