Giugno

La battaglia di Campaldino

Come tutti gli uomini adulti del Comune di Firenze, anche Dante Alighieri, partecipò agli obblighi della leva militare. Nel 1289 fu convocato a prendere parte alla campagna contro Arezzo ma non sappiamo se prestò servizio anche negli anni precedenti giacché la guerra contro Arezzo era scoppiata nel 1287 e vi era già stato un grande assedio e un agguato aretino, ai danni dei Senesi, presso Pieve al Toppo, che il poeta ricorda quando, nella “Selva dei Suicidi e degli Scialacquatori”, incontra Lano Maconi da Siena, le cui gambe “non furo accorte alle Giostre al Toppo”.

In realtà non possediamo documenti ufficiali che attestino la partecipazione di Dante alla battaglia di Campaldino, ma Leonardo Bruni afferma che “questa battaglia racconta Dante in una sua epistola e dice di esservi stato a combattere e disegna la forma della battaglia”.

Il poeta affermava di aver partecipato “non fanciullo nell’armi” e dichiarava di aver avuto “temenza molta e nella fine allegrezza grandissima, per li vari casi di quella battaglia”, cioè per il rovesciarsi della sorte ora in favore dei Ghibellini, ora in quello dei Guelfi.

Dante, scrive il Bruni, “si trovò nell’armi combattendo vigorosamente a cavallo nella prima schiera, dove portò gravissimo pericolo”: trovandosi nel punto più nevralgico di tutto lo schieramento, ricevette infatti l’urto della cavalleria pesante nemica, comandata dai famosi condottieri, Guglielmo dei Pazzi e Buonconte da Montefeltro.

Ed è proprio sulla sorte di questo comandante ghibellino che il poeta si sofferma nel V canto del Purgatorio, quando incontra la schiera di coloro che si pentirono tardivamente. A battaglia conclusa, il cadavere di Buonconte non venne trovato o riconosciuto e il poeta ne approfittò per fantasticare e immaginare una morte epica per colui che dovette considerare un degno avversario.

Ferito nella gola, forse in un combattimento presso Bibbiena, Buonconte si trascina per la valle, giungendo alla confluenza dell’Arno con il torrente Archiano. Con la gola squarciata invoca la Vergine e, grazie a quel sincero pentimento, la sua anima si salva e giunge in Purgatorio.

Il Diavolo, beffato, rimane con appena il cadavere del ghibellino, peccatore e scomunicato. Decide allora di vendicarsi, scatenando un temporale che occulti il corpo: solo quando giungono le tenebre si scatena una tempesta – ed è il solo Alighieri che ci fornisce questa informazione –. Il Diavolo, che secondo i teologi del tempo può controllare gli agenti atmosferici, si prodiga nel far tracimare i torrenti per far sì che il cadavere del Montefeltro venga umiliato, sbatacchiato tra i flutti, fino a che il fango “lo coperse e cinse”.